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Provincia di FORLì-CESENA

Capoluoghi: Cesena, Forlì

Scheda

 
Stemma della provincia Forlì-Cesena
   

Provincia di Forlì-Cesena - Statistiche

Territorio. Posta nella zona sud-orientale della regione, si colloca fra la provincia di Ravenna, a nord, le toscane province di Firenze (a ovest) e di Arezzo (a sud-ovest), dove è situato il crinale dell’Appennino tosco-emiliano, quella di Rimini, a est, la Repubblica di San Marino, a sud-est e la costa adriatica, a nord-est; corrisponde a gran parte della Romagna meridionale e comprende l’estremo settore sud-orientale della pianura padano-veneto-romagnola. Fino al 1992 i suoi 30 comuni costituivano una sola provincia insieme con quelli dell’attuale provincia di Rimini. Il paesaggio risulta composito: comprende la zona marina del circondario di Cesenatico, con una costa bassa e sabbiosa che si affaccia sul mare Adriatico (su cui si susseguono numerose stazioni balneari), come l’incantevole natura del parco nazionale delle foreste casentinesi. La zona sud-occidentale è ricoperta di monti e colline, mentre il resto è costituito dalla pianura romagnola. Le emergenze montuose della dorsale appenninica si trovano presso i confini provinciali: il Poggio Scali (m 1.520); il Poggio allo Spillo (m 1.449) e il monte Fumaiolo (m 1.407), cui fanno seguito le elevazioni dell’Alpe di Serra (m 1.291), a ovest della quale si scende verso il passo dei Mandrioli (m 1.173). La zona romagnola dell’Appennino è segnata da una serie di valli, che si portano perpendicolarmente all’asse della catena e che sono separate da contrafforti, dove risultano evidenti le tipiche forme erosive dei calanchi, nelle propaggini costituite da materiale argilloso di origine pliocenica, facilmente disgregabile. Più a monte, invece, si trovano argille scagliose, che si aggiungono alla formazione marnosa di tipo arenaceo di origine miocenica, su cui si ergono masse calcaree più solide, tra cui spicca il monte Fumaiolo. La zona della pianura romagnola è formata da alluvioni quaternarie, ove sono colture intensive. Nel complesso il clima è di tipo semicontinentale, caldo in estate e freddo in inverno; su di esso influisce, nella zona costiera, la presenza del mare e, sulla zona interna, l’azione dei rilievi montuosi e collinari. Le zone in pianura fanno registrare un clima spiccatamente continentale; nelle zone al di sopra degli 850-900 metri di altitudine le temperature si abbassano di qualche grado. Le medie annue vanno diminuendo dalla pianura alla costa, ai fondovalle, fino ad arrivare ai minimi della sommità del crinale appenninico. Le migliori condizioni climatiche si registrano in collina, dove più mite risulta la temperatura, più sopportabile l’umidità e sufficiente la piovosità. Soprattutto in primavera e in autunno si registrano le precipitazioni pluviali, più abbondanti sui rilievi. Le zone più piovose si trovano sulla dorsale, dove si concentrano i venti umidi che giungono dal mare Tirreno; meno piovose risultano le zone ai piedi dell’Appennino e ancor meno lo sono quelle di pianura. L’autunno è la stagione più piovosa, cui seguono la primavera, l’inverno e l’estate. Se nelle zone con altitudini più elevate la quantità di precipitazioni nevose si aggira sui 150 centimetri e sui versanti montuosi il quantitativo medio scende a un valore compreso tra i 50 e i 100 centimetri, drasticamente scende il numero a 30-40 centimetri in pianura e a 20 centimetri man mano che si procede verso il litorale. Numerosi fiumi sfociano nel mare Adriatico, I valori (tranne quelli dell’area ambientale) includono anche quelli relativi ai comuni della provincia di Rimini (v. pag. 377) con un andamento nord-est; la rete idrografica che essi compongono ha costituito solchi vallivi praticamente paralleli nella sezione montuosa. Forlì è bagnata dal fiume Montone, che in provincia di Ravenna si unisce con il Ronco a formare i Fiumi Uniti; il fiume Savio bagna Cesena: insieme al Rubicone e all’Uso completa il quadro della rete idrografica provinciale. Il loro bacino è limitato e il regime torrentizio si aggiunge a un deflusso che in montagna risulta turbinoso, mentre è lento in pianura: qui per la maggior parte i corsi d’acqua terminano con sbocchi in alcuni casi adattati a porti-canale per piccole imbarcazioni. Nell’alta valle del Bidente, infine, ai margini del parco, è un’opera dell’uomo quella che ha dato vita a un grande lago: l’invaso di Ridracoli (a pochi chilometri da Santa Sofia), generato da una grande diga, oggetto di un intenso flusso turistico. La distribuzione della popolazione in provincia risulta eterogenea tra le differenti parti del territorio, facendo registrare complessivamente un indice di vecchiaia superiore alla media: la zona di maggiore addensamento si ha soprattutto nella fascia pianeggiante, in particolare a Forlì e nei comuni costieri, mentre le zone collinari e quelle montuose dell’Appennino tosco-emiliano fanno rilevare una bassa densità demografica. Lo stemma provinciale, partito di azzurro e di rosso e concesso con Regio Decreto, riporta la figura del fiume Rubicone, fluente sopra un ristretto di paese, con in fondo un ponte romano. Il motto è: ALEA IACTA EST.

Comunicazioni. Un unico tracciato autostradale ne attraversa il territorio nella zona settentrionale (in direzione ovest-est): quello dell’A14, intersecato dalla strada europea E45, la n. 3 bis Tiberina, che a Bagno di Romagna si innesta con la n. 71. Numerose sono le strade stradali che percorrono la provincia, diramandosi in ogni verso da Forlì, con predilezione per la zona costiera: la n. 9 via Emilia; la n. 9 ter del Rabbi; la n. 16 Adriatica; la n. 67 tosco-romagnola; la n. 71 umbro-casentinese-romagnola e la n. 71 bis; la n. 304 di Cesena e la n. 310 del Bidente. Il trasporto su rotaia si svolge lungo le linee Ferrara-Rimini e Bologna-Bari. Unico porto, di tipo turistico, compreso nel territorio provinciale, è quello di Cesenatico. L’aeroporto civile “Luigi Ridolfi” di Forlì, aperto al traffico commerciale internazionale, è interessato principalmente da attività di aviazione generale (in particolare quelle connesse alla scuola di volo), di lavoro aereo, di aviazione d’affari e di trasporto merci, l’attività più consistente dell’aeroporto, che continua a soffrire della vicinanza degli altri due scali della regione: quello di Bologna e quello di Rimini.

Storia. Abitata sin da epoca preromana, soprattutto nella strategica zona del crinale, e utilizzata soprattutto da popolazioni nomadi, nel periodo fra il secoli XI e V a.C. vede l’affermazione di abitati, la cui creazione fu dovuta all’occupazione umbro-etrusca dell’Appennino romagnolo, che ebbero in Sarsina (l’antica Sapis) e Mevaniola (presso Galeata) i luoghi più importanti della loro espressione. La zona ebbe rilievo per i romani, che apportarono decisive modifiche nell’uso del territorio e nella sua organizzazione: bonifiche centuriali, costruzione di strade, ponti e acquedotti; è questo il periodo dell’affermazione della cultura della pianura, che man mano riesce a soppiantare quella della zona del crinale. La costruzione della via Emilia, del 187 a.C., coinciderà con il consolidamento della struttura territoriale creata dalle bonifiche e comporterà il collegamento fra gli insediamenti urbani pedemontani; essa fungerà anche da raccordo per le strade e i percorsi di fondovalle, che coprono tutte le vallate romagnole. Fra la fine del II e il VI secolo d.C. fu sottoposta ai bizantini e di conseguenza il polo d’attrazione si spostò su Ravenna, fino alla caduta di questa (nel 476 d.C.). Fu dunque soggetta alle invasioni barbariche dei goti e dei longobardi, la cui presenza portò al decadimento delle zone pedemontane, all’abbandono delle terre bonificate e al decremento demografico; le vallate romagnole vennero a costituire il punto di attrito fra l’esarcato bizantino e il regno longobardo. Il periodo comunale, di contro, assistette al recupero delle zone pedemontane, cui si affiancò una ripresa demografica, e all’allontanamento dall’influenza ravennate. Ebbe ragione sulla guelfa Bologna nel XIII secolo e, dopo pochi anni, riuscì a sconfiggere i francesi. Fra i secoli XIV e XV si affermarono signorie cittadine, fra le quali quella degli Ordelaffi, che tentarono (con scarsi successi) di consolidare le proprie posizioni nei territori collinari e montani; dal canto suo, però, Firenze riuscì nel tentativo, e pose le basi per la futura “Romagna toscana”. Passò ai Riario (parenti del papa Sisto IV), di cui fu feudo, e fu annessa fra i beni della Chiesa agli inizi del XVI secolo, per volere del pontefice Giulio II, quando perse ogni autonomia; cominciò così il confronto fiorentino con la Romagna pontificia. Possedimento dei francesi nel XVIII secolo, rimase da questi divisa fra zona delle terre pontificie (nel dipartimento del Rubicone) e terre toscane (nel dipartimento dell’Arno) e ancora in tal modo risultava disposta dopo il passaggio al regno d’Italia. Dal 1923 numerosi comuni della “Romagna toscana” venivano aggregati alla provincia di Forlì, che per la scissione dei venti comuni della provincia di Rimini si è costituta come provincia di Forlì-Cesena.

Struttura socio-economica. Se superiore alla media regionale risulta la percentuale di abitanti di età inferiore ai 15 anni, ancora sbilanciata verso l’alto è la distribuzione per classi di età, benché in misura inferiore al confronto con le altre province della regione. Le esigenze di manodopera nel comparto agro-alimentare e di forza lavoro nelle attività stagionali legate al turismo balneare causano una significativa presenza di stranieri. A un esame dei livelli procapite di alcune grandezze economiche relative alle famiglie si rileva una dicotomia nel consumo: per un verso un alto standard, rispetto alle medie regionale e nazionale, dei consumi finali interni della provincia; per l’altro una minore disponibilità di reddito degli abitanti al confronto con le altre realtà regionali. Il rilevante afflusso turistico del periodo estivo incide in misura determinante sulla spesa effettuata in provincia come sull’alta propensione della popolazione (rispetto alla media nazionale) verso i consumi non alimentari. Gli abitanti del forlivese dispongono di un reddito sul cui valore procapite incidono i redditi da lavoro in misura inferiore rispetto ai valori nazionali; sugli introiti da lavoro autonomo ha influito la dinamica, non incoraggiante negli ultimi anni, della ricchezza prodotta nel primario, un settore fondamentale dell’economia provinciale: il 67,8% delle imprese sono a carattere individuale e in prevalenza dedite all’agricoltura. Consistente risulta il numero di seconde case soprattutto nei comuni costieri, che rende buona la situazione abitativa (superiore ai livelli nazionali); inferiore alla media regionale è, però, la superficie in metri quadrati a disposizione per ogni abitante, causata anche dalla concentrazione della popolazione nei tre comuni della provincia con oltre ventimila abitanti. Se Forlì appare su posizioni elevate per qualità della vita, il resto della provincia non sfigura al paragone: ciò è dato da una buona dotazione di infrastrutture sociali, quali ospedali, scuole, asili nido, e dalla recente risoluzione cui sembrano avviati i problemi connessi all’inquinamento del mare Adriatico. Anche in materia culturale si sono avuti stimoli nuovi all’offerta, già su buoni livelli, soprattutto a merito delle realtà locali ma anche per le attività di integrazione tra società e mondo accademico, promosse dalle sedi distaccate, di Forlì e di Cesena, dell’Università di Bologna. La struttura produttiva provinciale fa registrare la presenza di piccolissime imprese agricole, che incidono anche sulla distribuzione degli occupati per settore economico e per posizione professionale; nel primario, infatti, si trova impegnata una quota di occupati superiore a quella regionale e nazionale e significativo risulta il numero degli occupati indipendenti. Supera la media nazionale anche la fascia di popolazione con più di 14 anni, mentre la disoccupazione mostra valori in linea con quelli regionali. Analizzando l’indice di opportunità e i vincoli allo sviluppo delle imprese, in una graduatoria delle province italiane, si trova quella di Forlì-Cesena al 25º posto; all’interno della regione, invece, la posizione avanza: è la quinta provincia e precede la stessa Bologna; un basso tasso di disoccupazione, la trascurabile incidenza delle sofferenze bancarie e una consolidata struttura produttiva, ove prevalgono le imprese con oltre dieci anni di vita, sono le cause di questo risultato. Decisamente favorevole è la posizione della provincia, se si considerano le opportunità allo sviluppo; contribuiscono al risultato: l’elevata propensione ai consumi non alimentari (che si inseriscono in una rilevante spesa procapite), un tasso di occupazione di tutto rilievo, una buona presenza di strutture pubbliche e sociali e il miglioramento delle condizioni ambientali dell’Adriatico. In comune con altre province della regione sono le caratteristiche del sistema produttivo del forlivese, quali: una forte connotazione agricola (elevato risulta il numero di micro-imprese, che hanno fino a 9 addetti, la cui presenza concorre in misura incisiva all’alta diffusione imprenditoriale in provincia) e un’evidente vocazione distrettuale, che interessa più della metà dei comuni della provincia; in particolare nei distretti di Forlì, Mercato Saraceno, Rocca San Casciano e Santa Sofia caratteristiche risultano le imprese di piccole dimensioni (con un numero di addetti da 10 a 49) in cui la percentuale di occupati risulta superiore sia alla media regionale che a quella nazionale; si rilevano anche alcune qualificate realtà artigiane. Sostanziale è la differenza di concentrazione di imprese fra le zone montuose sull’Appennino tosco-emiliano (da un lato), in cui trascurabile appare la dotazione produttiva, e il distretto di Forlì (all’interno del quale si colloca il baricentro economico, a Bertinoro) ma anche le zone turistiche della costa, dove si hanno addensamenti rilevanti di imprese. Significativa risulta la produzione di ortaggi e frutta (in particolare pesche, kiwi e fragole) nel comprensorio agricolo di Cesena (tutte queste coltivazioni sono destinate ai mercati esteri), cui si affianca un fiorente allevamento di polli e suini, che giustifica la complementare presenza dell’industria di fabbricazione di prodotti per l’alimentazione del bestiame; questa evidente propensione zootecnica a Forlì e nel Cesenate trova un riscontro nel numero di addetti occupati nel manifatturiero per la lavorazione e conservazione di carne e di prodotti a base di carne, che risulta, dunque, la principale specializzazione della provincia. Un altro aspetto della compenetrazione fra industria e tradizione agricola è dato dalla fabbricazione di macchine per l’agricoltura e la silvicoltura. La fabbricazione di compensati e pannelli stratificati e quella degli imballaggi in legno si concentrano nel distretto di Forlì, mentre la produzione di parti di mezzi di trasporto è prerogativa della zona dei distretti, compresa fra Forlì, Mercato Saraceno, Rocca San Casciano e Santa Sofia. Allo sviluppo del comparto agro-alimentare è conseguita anche una forte concentrazione di addetti al commercio all’ingrosso di prodotti alimentari e ai trasporti terrestri su gomma. Confrontando il valore aggiunto realizzato nella provincia tra gli anni ’91-’95 e quello del resto della regione si rileva un ritmo di crescita nettamente più basso; la causa principale è da ricercare nel forte calo della produzione agricola, legata alle quote territoriali stabilite dall’Unione Europea, che ha portato conseguenze negative anche nel settore dei trasporti. Superiore risulta il valore aggiunto per addetto dato dalle attività extra-agricole (benché inferiore a quello regionale), che conseguentemente mostrano tenuta migliore rispetto al comparto agricolo, che resta comunque l’elemento di traino del sistema produttivo provinciale: analizzando, infatti, la composizione del reddito prodotto, in riferimento alla media regionale, a una bassa quota dell’industria manifatturiera corrisponde una significativa incidenza dell’agricoltura e del commercio, in particolare quello all’ingrosso collegato al comparto alimentare. I comuni posti sull’Adriatico si avvantaggiano della tradizionale risorsa del turismo balneare (concentrato in particolare a Cesenatico), che però non raggiunge i livelli di presenze e di ritorno economico del riminese, anche a causa della loro ridotta estensione lungo il litorale costiero. La vocazione all’agro-alimentare si esplicita pure nell’esportazione (in particolare di frutta fresca) ma il forlivese è anche un’area di smistamento verso l’estero di prodotti agricoli provenienti da varie zone d’Italia e destinati soprattutto alla Germania e all’Austria. Degni di nota risultano i segnali dati nel quinquennio ’91-’95 dalla variazione negativa del valore aggiunto dell’agricoltura (in riferimento alla media nazionale); ciononostante, il dinamismo delle imprese industriali e artigiane delle aree distrettuali, distribuite tra la fascia collinare e quella pianeggiante, conferisce vitalità all’economia provinciale, mentre meno sviluppate appaiono le zone montuose dell’Appennino del crinale, dove una risorsa da sfruttare più intensamente è sicuramente l’agri-turismo. Lo sviluppo dell’economia provinciale in funzione del comparto agro-alimentare è stato favorito anche da una discreta rete di collegamenti stradali e dalla prossimità al porto di Ravenna: la produzione agroalimentare ma anche e soprattutto la distribuzione e lo smistamento di prodotti alimentari verso i mercati nazionali e esteri costituiscono il fulcro del sistema economico della provincia. Sugli stessi mercati internazionali sono dirette alcune tipiche produzioni artigiane del forlivese realizzate dall’industria del legno e del mobile: l’incidenza dell’artigianato sul valore aggiunto è un’ulteriore testimonianza del peso che riveste nell’economia della provincia quel comparto produttivo. Se la dotazione di infrastrutture aeroportuali si rivela carente, non si può affermare che il tessuto imprenditoriale ne abbia risentito particolarmente, mentre è pressante l’esigenza di una qualificata gamma di servizi alle imprese, soprattutto nelle zone distrettuali, in cui più avvertita è la domanda di consulenza per l’internazionalizzazione dei prodotti. L’incidenza delle sofferenze bancarie sul totale degli impieghi verso la clientela ordinaria risulta inferiore non solo alla media nazionale ma anche a quella della regione, dove il rapporto è tra i più bassi d’Italia; il costo del denaro, però, è superiore a quello medio regionale, a causa del minor peso contrattuale del tessuto imprenditoriale provinciale rispetto ad altre zone emiliane: vi prevalgono, infatti, le imprese individuali (se si confrontano i dati con quelli regionali) e vi si registra una scarsa tendenza a consorziarsi (che consentirebbe di ottenere condizioni vantaggiose nella contrattazione con le banche e che favorirebbe la competitività sui mercati internazionali).

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