SANT'AGATA:
Patrona di Catania, vissuta fino al 251 d.C., anno del suo martirio, quando, secondo la tradizione popolare, era poco più che adolescente (si vuole che sia nata da Rao e Apolla l'otto settembre del 235 d.C.). Il suo sacrificio fu decretato da un proconsole romano, che contro di lei applicò norme che punivano con la morte i cristiani non disposti a rinnegare la loro religione. Sin dal 264 a.C., anno in cui con la prima guerra punica avevano sottratto l'isola ai Cartaginesi, in Sicilia i Romani avevano imposto il paganesimo. Quando la comunità cristiana aveva iniziato a essere abbastanza ampia, intorno al 40 d.C., le avevano scagliato contro le prime persecuzioni. All'inizio del III secolo, poi, l'imperatore Settimio Severo aveva emanato un editto secondo cui i cristiani dovevano essere prima denunciati alle autorità e poi invitati a rinnegare pubblicamente la loro fede; se accettavano di tornare alla religione pagana avevano diritto al cosiddetto "libellum", una sorta di certificato di conformità religiosa, ma se si rifiutavano venivano prima torturati e poi uccisi. Nel 249, di fronte al diffondersi del cristianesimo e temendo che l'aumento dei fedeli potesse minacciare la stabilità dell'impero, l'imperatore Decio ordinò una repressione ancora più radicale: tutti i cristiani, denunciati o no, erano ricercati d'ufficio, rintracciati, torturati e infine uccisi. All'epoca ogni provincia era affidata a un proconsole o a un governatore, funzionari che godevano sia dei poteri civili che di quelli militari. Catania, città ricca e fiorente, era amministrata dal proconsole Quinziano, uomo rude, prepotente e superbo. Agata era una "vergine consacrata", una ragazza, cioè, votata a Dio nel corso di una cerimonia ufficiale chiamata "velatio". Il proconsole Quinziano, saputo che in città, tra le vergini consacrate, viveva una nobile e bella fanciulla, Agata, appunto, ordinò ai suoi uomini di catturarla e condurla al palazzo pretorio. L'accusa formale, in forza dell'editto dell'imperatore Decio, era quella di vilipendio della religione di Stato. In realtà l'ordine del proconsole nasceva anche dal desiderio di soddisfare un capriccio e un interesse personale: piegare a sé una giovane bella e illibata e confiscarne i beni di famiglia. Per sottrarsi all'ordine del proconsole, Agata per qualche tempo rimase nascosta lontano da Catania. Su questo punto storia e leggenda sono fortemente intrecciate: più città si contendono il merito di aver dato asilo alla vergine esule (Galermo, una contrada poco distante da Catania, dove i genitori possedevano case e terreni; Palermo; una grotta nell'isola di Malta...). Agata rimase in esilio soltanto per poco tempo. Gli "apparitores", come si chiamavano gli sgherri al servizio del proconsole, la raggiunsero e la condussero in tribunale al cospetto di Quinziano. Non appena la vide, il proconsole fu rapito dalla sua bellezza e tentò di sedurla ma i suoi tentativi furono tutti vani, perché Agata lo respinse sempre con grande fermezza. Quinziano pensò allora che un programma di rieducazione avrebbe potuto trasformare la giovane e l'avrebbe convinta a rinunciare ai voti e a cedere alle sue lusinghe. L'affidò, quindi, per un mese alla cortigiana Afrodisia, una matrona dissoluta, maestra di vizi e di corruzione. Allo scadere del mese e di fronte alla fermezza di Agata, Afrodisia non potè far altro che arrendersi. Preso atto che lusinghe, promesse e minacce non sortivano alcun effetto, Quinziano decise allora di dare immediato avvio a un processo, contando così di piegare con la forza la vergine consacrata. Agata subì, quindi, le più atroci torture ma ogni tormento, invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuovo vigore. Allora Quinziano si accanì ulteriormente e dai sui aguzzini le fece amputare il seno. La notte successiva alla mutilazione, nel buio della cella, Agata vide avvicinarsi una luce bianca: era un fanciullo vestito di seta con una lucerna in mano. Lo seguiva un uomo anziano: San Pietro. Inizialmente lei non voleva che l'anziano le porgesse i medicamenti che aveva portato con sé per guarire le sue ferite ma quando l'uomo la rassicurò e le disse di essere l'apostolo di Cristo, lei chinò il capo e accettò che si compisse la volontà di Dio. Il prodigio non tardò: quando l'uomo scomparve nel buio, Agata si accorse che le ferite erano guarite, il suo seno era rifiorito e il suo spirito si era rinvigorito. Dopo quattro giorni di cella, all'alba del quinto fu condotta in tribunale per la terza volta. Quinziano, sbalordito e incredulo nel vedere rimarginate le ferite sul suo corpo, decise per lei la morte più atroce: un letto di tizzoni ardenti con lamine arroventate e punte infuocate. L'ordine fu eseguito immediatamente: Agata fu gettata sulle braci, coperta soltanto dal suo velo da sposa di Cristo. A questo punto, secondo la tradizione si sarebbe verificato un altro miracolo, a testimoniare la chiara santità di Agata: il fuoco, che straziava il suo corpo, non bruciò invece il velo. Per questa ragione il "velo di Sant'Agata" diventò da subito una delle reliquie più preziose. Più volte portato in processione di fronte al fuoco delle colate laviche dell'Etna, si vuole che abbia avuto il potere di far arrestare il magma. Si tramanda anche che un violento terremoto scosse l'intera città di Catania quando Agata fu spinta nella fornace. Era il 5 febbraio 251. I cristiani che avevano assistito al martirio e alla morte di Agata raccolsero con devozione il suo corpo e lo cosparsero di aromi e di oli profumati, come usava a quell'epoca. Poi, con grande venerazione, lo deposero in un sarcofago di pietra, che da allora fino ai nostri giorni è stato sempre oggetto di culto a Catania. Ogni anno, il 3, il 4 e il 5 di febbraio, la città etnea dedica alla sua Patrona tre giorni di celebrazioni, riti e festeggiamenti, che non hanno riscontro nel mondo: devoti e curiosi dilagano nelle vie e nelle piazze, a centinaia di migliaia, anche fino a un milione. Soltanto la Settimana Santa di Siviglia, in Spagna, e la festa del Corpus Domini, a Guzco, in Perù, possono paragonarsi, quanto a popolarità, ai festeggiamenti agatini, da cinque secoli sempre uguali. Sono tre giorni di solennità, di cui due ancora più solenni: il 4 e il 5 febbraio, quando Sant'Agata nel suo argenteo fercolo, "a vara", va tra la sua gente, attraversando i quartieri popolari e quelli alti. Alla sua Patrona Catania ha tributato chiese e monumenti tra i più belli e prestigiosi, anche in segno di gratitudine per essere rinata molte volte da devastanti terremoti ed eruzioni dell'Etna. Nel luogo in cui, secondo la tradizione popolare, la Santa sarebbe nata è stato eretto un piccolo altare; alla salita dei Cappuccini, all'interno della chiesa di Sant'Agata al Carcere, sono conservati i ruderi della prigione dove Sant'Agata patì il martirio e spirò; vicino ci sono le chiese di Sant'Agata alla Fornace (in piazza Stesicoro) e di Sant'Agata la Vetere (via Santa Maddalena), la prima cattedrale di Catania (appunto la Vetere) e forse luogo della prima sepoltura. Altri edifici e monumenti dedicati alla Santa sono: la Badia di Sant'Agata, la stele in piazza dei Martiri, la fontana di via Dusmet, il Duomo normanno-barocco.