PAVESE, CESARE:
Nacque a Santo Stefano Belbo (CN) nel 1908. Visse per la maggior parte della sua vita a Torino. Dopo un originale tentativo di poesia-racconto, pubblicato nel 1936 con il titolo "Lavorare stanca", si dedicò alla narrativa. I suoi racconti e romanzi sono raccolti nei volumi: "Paesi tuoi", del 1941; "La spiaggia", del 1942; "Feria d'agosto", del 1946; "Il compagno", del 1947; "Prima che il gallo canti", del 1949 (nel quale sono compresi "Il carcere" e "La casa in collina"); "La bella estate", del 1949, e "La luna e i falò", del 1950. I "Dialoghi con Leucò", del 1947, assumono, invece, forma dialogica, per mezzo della quale, nella rievocazione di antichi miti, si riferiscono all'esperienza intima dell'autore. Le opere pubblicate postume furono: "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", del 1951 (un libro di poesie); "La letteratura americana e altri saggi", del 1951; "Il mestiere di vivere", del 1952 (da considerare suo diario spirituale) e "Notte di festa", del 1953 (una raccolta di racconti giovanili). Per aver compiuto studi sulla letteratura inglese, tradusse le opere di scrittori inglesi (tra i quali Defoe) e americani (fra i quali Anderson, Melville, Lewis, Dos Passos e Stein). Nel 1934 divenne direttore della rivista "Cultura". Fu condannato al confino per aver cercato di dare protezione a una donna iscritta al partito comunista. L'educazione austera impartitagli dalla madre, quando rimase orfano di padre all'età di sei anni, gli infuse i sentimenti di nostalgia per la campagna, che sarebbero sempre rimasti nel suo carattere; l'esperienza dolorosa dell'ultimo conflitto mondiale aggiunse alla sua vicenda umana un'espressione tragicamente sofferta del dramma della cultura e della coscienza europea. Dalla sua opera emergono il dramma (dato dall'incomunicabilità con Dio e con gli altri uomini), la scoperta della tragedia dell'uomo solo e del nulla che sottende ogni irrazionalismo. Le conseguenze furono nella ricerca disperata di assoluto, per un verso, e nel tentativo di un colloquio con gli altri, che però ebbero come risultato un'ulteriore chiusura nella propria solitudine d'artista. Benché avesse vissuto con pieno abbandono l'estetizzante cultura intrisa di Decadentismo, vide non nell'artista ma in tutti gli uomini i possibili creatori di più autentici rapporti sociali, di quel dialogo fraterno che avrebbe potuto superare gli orrori dell'odio e della guerra. Morì suicida a Torino nel 1950. V. anche LANGHE