CIELO D'ALCAMO:
Visse nel XIII secolo. Fu giullare, uno di quei cantori e giocolieri di cultura varia ma non profonda, che di solito si esibivano nelle corti e nelle piazze. Il suo nome ci è stato trasmesso dal grammatico del Cinquecento Angelo Colocci; probabilmente è tratto dal siciliano Celi, diminutivo di Michele; il cognome gli deriverà da Alcamo, appunto, in provincia di Trapani. Dotato di una certa cultura, anche se non proveniente dal prestigioso cenacolo dei poeti della corte di Federico II, è capace di intercalare, con divertente effetto comico, corpose e grossolane espressioni popolaresche ad altre tipiche della lirica cortese più elevata. In origine anonimo, sotto il suo nome ci è pervenuto il contrasto "Rosa fresca aulentissima", citato da Dante nel "De vulgari eloquentia" come esempio di siciliano "mediocre", cioè dialettale. Composto probabilmente a Messina (ha per certo come sfondo una città marinara) tra il 1231 e il 1250, è costituito da 160 versi divisi in 32 strofe dialogiche, rese da un tristico monorimo di alessandrini e da un distico di endecasillabi a rima baciata. Il canto, a due voci (il seduttore che incalza con le sue proposte, la ragazza che cerca di resistergli, o finge), si incentra intorno all'elogio di un amore paesano delineato concretamente, con effetti mimici e melodrammatici; la lingua è una giusta mescolanza di modi curiali e vernacolari. Risulta ancora gradevole, per il lettore moderno, il gusto realistico con cui Cielo rende il dialogo e la psicologia dei due personaggi.