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Provincia di FERRARA

Capoluogo: Ferrara

Scheda

 
Stemma della provincia Ferrara
   

Provincia di Ferrara - Statistiche

Territorio. Di forma allungata (come di trapezio rettangolo allungato), estesa essenzialmente da ovest a est, nella zona nord-orientale della regione, dalla bassa mantovana alla costa adriatica, raccoglie 26 comuni, la cui popolazione fa registrare un indice di vecchiaia particolarmente superiore alla media. Il suo territorio è interamente pianeggiante e circondato da acque: quelle del basso corso del Po Grande e del Po di Goro, a nord, quelle del basso corso del fiume Reno, a sud, quelle del mare Adriatico, a est, sulle quali si riversa con una costa bassa e sabbiosa; è incuneato tra il Polesine (della veneta provincia di Rovigo) e la lombarda provincia di Mantova, a nord, la provincia di Ravenna (la Romagna), a sud, la provincia di Bologna, a sud-ovest, e quella di Modena, a ovest. Piuttosto omogeneo dal punto di vista orografico, basso e pianeggiante, è costituito da terreni di origine alluvionale, generati dai depositi del materiale trasportato dai fiumi, che nel tempo hanno riempito il golfo, ubicato, all’epoca del terziario, negli spazi dell’attuale pianura; il graduale accumulo delle alluvioni ridusse la zona orientale a un numero di ampi stagni deltizi, fra loro separati in modo da configurarsi come conche, che vennero definite valli, anche in seguito all’opera di prosciugamento, bonifica e messa a coltura, cui numerose zone della provincia sono state sottoposte. Anche dal punto di vista climatico si riscontra uniformità: la tendenza alla continentalità che si riscontra in gran parte della provincia è in parte mitigata dall’influsso del mare solo nei pressi della costa; molto calde risultano le estati e assai freddi gli inverni. Piuttosto bassa è la piovosità e le piogge hanno entità e regime equinoziali (presentano due massimi: in autunno e primavera). Di rilievo è l’idrografia che, oltre ai citati Po Grande e di Goro, al Reno e alle Valli di Comacchio, comprende anche il Po di Volano, quello di Primaro e il fiume Panaro che, pur risentendo delle piene stagionali, hanno nel complesso un corso tranquillo. Nell’antichità il luogo attualmente occupato dalle Valli di Comacchio ospitava il Po Grande. L’invasione di buona parte della zona del vecchio delta è stata resa possibile dalla deviazione del corso del fiume a nord (dove sfocia attualmente). Per volere della famiglia d’Este già nel XIV secolo si avviò la canalizzazione, che riuscì a sollevare le sorti dell’agricoltura; in seguito il lavoro fu però reso vano dal naturale abbassamento progressivo dei terreni e dagli errati interventi idraulici. Solo con l’avvento della macchina a vapore del XIX secolo la bonifica meccanica, potenziata soprattutto nella zona settentrionale della provincia e nei pressi delle Valli di Comacchio, porterà all’attuale assetto, ottenuto nel XX secolo mediante il sollevamento delle acque basse dato da impianti idrovori, che ha consentito l’accrescimento della produzione del riso. Il risultato è una campagna composta come un fitto reticolo di canali e corsi d’acqua, in cui spesso si è generata la vocazione alle attività nautiche, come nelle zone del Volano e del Primaro. Ma soprattutto nella zona del delta del Po continuano a esistere seri rischi di carattere alluvionale; in questa zona, come in tutta la pianura padana, si registrano fenomeni di inquinamento piuttosto rilevanti. Parte del territorio provinciale è inserita nel Parco del Delta del Po, istituito nel 1988 e riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, esteso su un’area di circa 60.000 ettari; la sua creazione mira alla conservazione dell’ambiente naturale del delta storico del Po. Particolarmente elevato risulta il livello di urbanizzazione di tutta la provincia: le zone di addensamento particolare sono il Centese e quella che si trova lungo la sponda del Po vicina a Ferrara; il baricentro demografico della provincia è situato, infatti, a Voghiera, alla periferia occidentale del capoluogo. Lo stemma provinciale, concesso con Regio Decreto, è “interzato in pergola”. La prima sezione è troncata di nero e d’argento; la seconda, anch’essa troncata, si compone di una banda “doppiomerlata”, accostata da sei stelle d’oro in campo azzurro, e di un gambero rosso, su sfondo argenteo, col capo d’Angiò costituito da un lambello rosso, in campo azzurro, con quattro pendenti intercalati da tre gigli d’oro; nella terza sezione, infine, si raffigura un pesce posto in palo su sfondo aureo. Lo stemma riunisce in sé le insegne delle città di Ferrara, Cento e Comacchio.

Comunicazioni. Importante nodo stradale e ferroviario è il capoluogo di provincia, che è crocevia fra la linea principale del territorio, quella che collega Venezia a Bologna, e la gran parte delle linee locali, di unione con Rimini, Codigoro e Suzzara; unica eccezione è costituita dalla Bologna-Portomaggiore che, attraversando il territorio nella sua zona centro-meridionale, non interessa Ferrara. Un solo tracciato autostradale serve la provincia, quello dell’A13 Bologna-Padova che, diramato nel raccordo con Porto Garibaldi, attraversa nei due sensi (nord-sud e est-ovest) l’intera provincia. Anche le strade statali consentono un soddisfacente collegamento con le province limitrofe e con il resto d’Italia; sono: la n. 16 Adriatica; la n. 64 Porrettana; la n. 255 di San Matteo Decima; la n. 309 Romea; la n. 468 di Correggio; la n. 495 di Codigoro e la statale n. 496 Virgiliana. Per il resto, cioè porto e aeroporto, la provincia fa capo, rispettivamente, a Ravenna e a Bologna.

Storia. Se per il periodo antico si nutrono dubbi circa le origini di Ferrara, non altrettanto si può affermare per quello che riguarda il medioevo. A proposito delle vicende del resto della provincia, invece, si sa per certo che in epoca romana esisteva un insediamento in luogo di Voghenza e Voghiera (i cui nomi riportano a luoghi abitati dai liguri) e che già nell’età del bronzo in tutta la zona posta a occidente del fiume Panaro era sviluppata la civiltà delle “terramare”; a oriente del Panaro si sono avuti ritrovamenti da ascrivere al periodo della cultura villanoviana, della prima età del ferro. L’intera pianura padana vede gli esordi della civiltà nella nascita (nel VI sec. a.C.) delle due città emporio: Spina e Adria. La vocazione agricola del territorio fu determinata dalla regolazione del corso delle acque, di cui si organizzò il deflusso a mare, che portò alla forma a delta della foce del Po e alla creazione di villaggi tra loro indipendenti. Particolarmente importante risulta la vicenda della mitica Spina, sorta in epoche lontane come emporio etrusco, dalla cultura evidentemente grecizzata: costituì porto di scambio per le merci provenienti da ogni dove, dall’estremo settentrione d’Europa fino alle coste africane; dopo secoli di oblio che l’avevano dimenticata (era rimasta sepolta sotto le acque paludose del delta padano), ne sono stati riportati alla luce i magnifici reperti dai moderni archeologi. Seguì lo splendore di Voghenza, resa capoluogo romano di un’ampia zona di proprietà dell’impero, in cui venivano inviati i legionari del potente esercito che, dopo aver prestato un onorevole servizio per anni, erano autorizzati a vivere dei proventi di un podere loro concesso. Al commercio fluviale risultarono legate le comunità liberali, nate nella zona che fu vista come confine di stato da celti e romani, prima, come dai bizantini e i longobardi, poi. Anche per questa parte della regione risultò determinante la discesa dei longobardi in Italia (del VI secolo), che originò la separazione tra Emilia (sottoposta ai nuovi dominatori) e Romagna (che restò nelle mani bizantine), il cui nome ne rievocava la dipendenza da Roma. Il continuo stato di guerra causava ritardi nello sviluppo dei vecchi abitati, mentre ne sorgevano altri, che vedevano una rapida crescita, come Comacchio e Ferrara. Dopo il secolo XI il frazionamento feudale andò arrestandosi e si assistette all’affermazione della famiglia dei marchesi di Canossa, che estesero il loro dominio, oltre che nel ferrarese, in gran parte dell’Emilia. Al periodo delle invasioni longobarde e per opera dei benedettini, ai quali si deve l’introduzione della bonifica sistematica delle zone sommerse del delta, si ascrive la nascita (nel VI secolo) dell’Abbazia di Pomposa, luogo di potere e di cultura fra i più importanti d’Italia, ideale punto di controllo dei traffici che si tenevano tra Ravenna e Pavia (vi dimorò quel monaco Guido, erroneamente denominato d’Arezzo, che vi inventò la trascrizione musicale moderna). Terminato il periodo di splendore di Pomposa, sorse la civiltà di Ferrara, fra i luoghi più importanti per lo sviluppo e la diffusione della cultura italiana; lì, per la prima volta in Europa, fu commissionato un piano regolatore (a Biagio Rossetti, da parte di Ercole I), esempio ineguagliato dell’arte di costruire una città nelle sue diverse forme. Nella prima metà del XIII secolo il territorio provinciale vide, inevitabile, il passaggio dai comuni alle signorie, visti i continui contrasti fra i diversi comuni, tra piccoli feudatari e tra guelfi e ghibellini: il potere fu ceduto alla famiglia dei Salinguerra, dai quali sarebbe passato agli Estensi, definitivamente. Il XIV secolo fu l’epoca che vide il riconoscimento di una situazione ormai consolidatasi: i numerosi signori locali, detentori dell’effettivo potere in Romagna, videro riconosciuto dal papato il titolo di vicario pontificio; ciò valse anche per gli Estensi. Se sul finire del ’400, in seguito all’intervento francese in Italia, crollarono le piccole signorie emiliano-romagnole, che furono riunite sotto l’egida della chiesa, ciò non si verificò per il ducato di Ferrara, che si distinse come entità a sé stante. La seconda metà del XVI secolo risultò determinante per la suddivisione del territorio dell’intera regione, seguita alla pace di Cateau-Cambrésis; ne risultarono tre entità: il ducato di Ferrara, fino a Modena e Reggio (retto dagli Estensi); quello di Parma e Piacenza (retto dai Farnese) e lo Stato Pontificio. Ma l’estinzione del ramo legittimo degli estensi portò, dopo circa quaranta anni, il papa Clemente VII ad impegnarsi, con successo, per ottenere Ferrara. Agli inizi del XIX secolo, dopo la rivoluzione francese, il Ferrarese fu occupato saltuariamente dagli austriaci e nel periodo napoleonico fu annesso alla Repubblica Cisalpina; il Congresso di Vienna, con la restaurazione, che seguì il fallito tentativo di Gioacchino Murat (degli anni 1814-1815) di unificare la penisola, riportò la zona sotto il dominio del papa che ebbe, dunque, le legazioni di Ferrara, Bologna e Ravenna. Alla fine del XIX secolo si ebbe la diffusione delle idee socialiste, che ebbero presa anche a causa delle pesanti condizioni del lavoro agricolo: nel ferrarese la protesta si manifestò nel 1907-1908 con un grande sciopero agrario. Durante il secondo conflitto mondiale determinante si rivelò il contributo dei partigiani emiliani, che affiancarono le truppe alleate, superando le difese nemiche presso Argenta, riuscendo a liberare Ferrara e collaborando a costringere i tedeschi alla resa definitiva sul fronte italiano (nella primavera del 1945).

Struttura socio-economica. In una graduatoria delle province italiane che analizzi le opportunità di sviluppo e i vincoli che lo condizionano, Ferrara occupa il trentanovesimo posto, una posizione di retroguardia rispetto alle province italiane più sviluppate. Cause del ritardo rispetto alle altre province emiliane sono: il tasso di disoccupazione più alto, un’incidenza minore delle imprese distrettuali, l’elevato peso delle ditte individuali e le caratteristiche del mercato del credito, in cui il costo del denaro risulta superiore alla media nazionale. La stessa posizione occupa nella speciale graduatoria che consideri l’indice sintetico della qualità della vita delle province italiane; un valore degno di rilievo ma, comunque, inferiore a quello di altre aree emiliane. Soddisfacente può essere giudicata la vivibilità dei comuni. Significativa risulta anche l’incidenza dei trasferimenti sulle entrate complessive delle famiglie della provincia, particolarmente quelli dovuti per prestazioni pensionistiche, il cui numero si spiega se si considera l’elevata quota di abitanti che superano i 64 anni (all’interno della quale determinante è il peso della componente femminile). Analizzando il valore procapite, se il reddito disponibile per famiglia e la spesa complessiva effettuata nella provincia fanno registrare valori superiori alla media nazionale, esso risulta meno sviluppato, se confrontato con le altre realtà dell’Emilia-Romagna; in particolare è superiore a quella media regionale la porzione di spesa alimentare, da cui si trae indicazione di una maggiore propensione degli abitanti della provincia a soddisfare i bisogni di prima necessità, rispetto al comportamento medio degli emiliani; su tali valori del livello dei consumi finali interni incide anche uno sviluppo del turismo ridotto rispetto alle altre province costiere della regione, su cui influisce pure un afflusso nei luoghi di attrazione culturale (basti pensare ai richiami artistici di Ferrara e al carnevale di Cento), che difficilmente supera la permanenza giornaliera. Su buoni livelli si pone la situazione abitativa, soprattutto rispetto alla media nazionale; ciò è dato dal soddisfacente numero di seconde case, da aggiungere alla prima casa di proprietà, che risulta una costante per i residenti della provincia. La presenza dell’Università stimola l’organizzazione di attività culturali e sociali, che costituiscono opportunità per il tempo libero dei ferraresi. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, si rileva una situazione di inferiorità della provincia rispetto al resto della regione, in particolare in merito al fenomeno della disoccupazione, valutata nel complesso e nelle differenti classi di età, causata, fra l’altro, dalla crisi del polo chimico, che sembra avere influito in misura apprezzabile soprattutto sulla quota dei lavoratori dipendenti, già inferiore a quella nazionale; una diffusa imprenditorialità agricola, invece, incide sul numero degli occupati nel settore, che solitamente rivestono una posizione professionale indipendente. La miriade di aziende agricole presenti, di cui molte marginali, contribuisce in modo determinante ad allineare Ferrara sui livelli delle altre province emiliane, dove più radicata appare la vocazione distrettuale. L’economia contadina ha trovato sbocco anche nell’industria conserviera (a Portomaggiore, nel distretto industriale di Argenta, si trovano importanti aziende nazionali), che trae alimento dalla produzione di frutta, in particolare: pere, mele, pesche e, nell’ultimo decennio del ventesimo secolo, anche kiwi. Se si eccettua la classe di età compresa tra i 25 e i 29 anni, per la quale la partecipazione all’occupazione risulta inferiore alla media regionale, soddisfacente appare, invece, la propensione generale all’attività lavorativa della popolazione di età superiore ai 15 anni. Analizzando il tessuto produttivo della provincia, esso risulta caratterizzato dall’elevato numero di micro-imprese fino a 9 addetti e da un numero di occupati, nelle imprese con più di 200 addetti, che appare significativo rispetto alla media regionale e del nord-est. Da tempi lontani il sistema economico del ferrarese può essere descritto come la somma di una diffusa imprenditoria agricola, soprattutto nel meridione della provincia, e di un’industria, che ha nel polo chimico della periferia nord del capoluogo provinciale il suo luogo d’elezione; il binomio costituitosi fra le grandi fabbriche del polo chimico di Ponte Lungo e l’industria ferrarese è divenuto ormai inscindibile da tempo, come è dimostrato dal peso che hanno nelle esportazioni provinciali i derivati chimici. Proprio la crisi dell’industria chimica, occorsa nella prima parte degli anni ’90 del ventesimo secolo, ha determinato una crescita del valore aggiunto inferiore a quella nazionale e un ridimensionamento degli addetti del comparto, cui ha fatto seguito il riversarsi di lavoratori nel commercio, con un conseguente aumento delle imprese individuali. I piccoli esercizi commerciali, però, sono stati selezionati, a seguito dell’affermazione della grande distribuzione, cui si è assistito soprattutto al di là del Po, nella veneta provincia di Rovigo. Rilevanti, però, risultano anche altre specializzazioni della struttura manifatturiera, quanto a numero di addetti: è il caso del comparto metalmeccanico, dell’industria conserviera agro-alimentare ma anche delle produzioni legate all’edilizia per la casa, in particolare la fabbricazione di piastrelle e ceramiche per pavimenti e rivestimenti. Se, dunque, l’industria chimica rappresenta ancora la struttura portante del sistema produttivo della provincia, strategico risulta pure il comparto metalmeccanico, cui è connessa una serie integrata di micro-imprese, complementari e contoterziste, con una significativa connotazione artigiana. Lo stesso artigianato, però, se per un verso garantisce produzioni all’avanguardia, d’altro canto desta preoccupazioni per la presenza capillare, aumentata in seguito alla crisi della grande industria. La tradizionale risorsa dell’agricoltura costituisce anche per l’industria uno sbocco: basti pensare alla fabbricazione di macchine per l’agricoltura e la silvicoltura. Quest’ultima attività, che costituisce una delle voci dell’esportazione, si localizza nel Centese e a Copparo, dove hanno trovato sviluppo tutta una serie di imprese satellite, specializzate nella produzione di elementi in metallo, di complemento alla realizzazione di macchine agricole. Altra risorsa tradizionale della provincia è quella ittica, concentrata nelle Valli di Comacchio (allevamento di anguille) o affidata all’attività dei pescherecci di Porto Garibaldi e di Goro, il cui operato è fonte di un apprezzabile indotto nella lavorazione e conservazione dei prodotti ittici. Oltre che a Ferrara, dove si colloca il baricentro economico della provincia e dove si concentrano le aziende più grandi, si registrano addensamenti significativi di imprese nel Centese e a Goro. Discordi risultano i valori della ricchezza procapite prodotta all’interno della provincia (superiore alla media nazionale) e del valore aggiunto per addetto (che risulta leggermente inferiore), considerate le attività extra-agricole. Se, a differenza del litorale romagnolo, il turismo sembra una risorsa non rilevante per l’economia provinciale, superiore alla media regionale risulta l’incidenza sul valore aggiunto della Pubblica Amministrazione. È interessante, per avere un quadro esaustivo dell’economia provinciale, esaminare le esportazioni, che riflettono l’ascesa del settore metalmeccanico: il primato va alle parti staccate di autoveicoli ma i prodotti della chimica detengono sempre un posto di rilievo; i mercati restano soprattutto quelli occidentali, con in testa la Germania, seguita dagli Stati Uniti. La dotazione infrastrutturale risulta inadeguata alle esigenze del tessuto imprenditoriale e ciò costituisce un elemento frenante per lo sviluppo dell’economia provinciale, penalizzata anche dalla carenza di scali marittimi: ancora si attende la costruzione, nel porto canale di Porto Garibaldi, di uno scalo per il traffico commerciale. Considerata la crescente domanda di consulenza aziendale, si registra un’offerta carente di servizi alle imprese, soprattutto per l’esportazione. Un costo del denaro leggermente superiore a quello medio regionale rende non del tutto favorevole, poi, il rapporto tra realtà produttive e istituti di credito. Le difficoltà di ottenere credito hanno portato molte imprese a cercare fonti di finanziamento alternative. Promettenti risultano le prospettive del comparto agro-alimentare (sviluppatosi ai confini con il ravennate, dove determinante è la presenza del porto) e del turismo, che sta cercando di accodarsi a quello delle zone balneari romagnole.

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