ANTONELLO DA MESSINA:
Nacque a Messina verso il 1430. Intorno alla metà del secolo frequentò la bottega del Colantonio, a Napoli, dove trovò un ambiente stimolante, che accettava di buon grado le più disparate influenze: fiamminghe, provenzali, iberiche; nel 1456 tornò a Messina. Come risulta da un documento degli inizi del 1460, si allontanò dalla città natale per un primo viaggio; anche fra il 1465 e il 1473 fu fuori da Messina e soggiornò a Venezia tra il 1475 e il 1476; a marzo dello stesso anno tornò nella città natale, dove sarebbe rimasto fino alla morte (1479). La sua cultura è, dunque, inizialmente meridionale ma in seguito sarà superata e approfondita tanto dalle influenze fiamminghe quanto da quelle italiane, in seguito alle esperienze maturate durante i viaggi. È innegabile nella sua pittura, sin dagli albori, un legame con i modi fiamminghi, segnatamente con la pittura di Jan von Eyck, che secondo alcuni studiosi si spiegherebbe con un incontro del messinese con Petrus Christus, erede della tradizione borgognona. Fra i suoi primi dipinti, che testimoniano dei rapporti con la pittura fiamminga, si trovano: la "Crocifissione", il "San Girolamo", i "Tre angeli". Un'ulteriore influenza derivò dall'opera di Piero della Francesca, da cui il messinese trasse una cifra personale, caratterizzata da elementi peculiari: uno spazio identificato dalle stesse figure; la disposizione dei particolari in composizioni dalla prospettiva bloccata, in cui risalta l'attenzione per la preziosità delle diverse materie; l'evidente accento alle forme, dato dalla luminosità del colore. Tutto ciò si ritrova nei dipinti successivi: i frammenti di un polittico (tre busti di Santi del museo di Palermo); le "Annunziate" di Monaco e di Palermo; il "Salvator mundi". Antonello è considerato un rappresentante del rinascimento meridionale ma è anche uno dei pochi a interpretare con competenza tecnica il rinnovamento fiammingo, fondendolo con padronanza alla sintesi prospettica e formale italiana. Un esempio è dato dall'inquadramento a volo d'uccello dello spazio della "Crocifissione" e dal realismo analitico con cui ogni dettaglio è focalizzato. Al 1465 risale la tavola con Cristo, il cui fondo scuro, sui capelli, risulta tipico della pittura fiamminga; nello spazio articolato e nella mano benedicente realizzata in prospettiva si ravvisa una sostanza spaziale che traduce "in italiano" il dato nordico di partenza. La fusione della pittura rinascimentale con la pittura fiamminga si riscontra ancora una volta nella tavola con "San Gerolamo nello studio", del 1474, in cui la luce illumina i dettagli lasciando immaginare lo spazio fuori; l'analitica attenzione con cui si rendono gli effetti della luce è innescata dallo stesso rigore che genera la costruzione spaziale prospettica. Ciò che nella pittura fiamminga era espresso con particolarismo viene volto, nella pittura del messinese, in un'armonica disposizione di volumi distesi e semplici: è il caso della "Madonna col Bambino" ma anche delle figure dai lineamenti regolari che si ripropongono negli "Ecce Homo" di New York, Genova, Piacenza e Vienna, oltre che nei ritratti (fra i quali sono quelli di Cefalù e di Pavia), nell'"Autoritratto", nel "Ritratto Hamilton", nel "Condottiero" e nel "Ritratto Trivulzio". Lo spostamento del centro prospettico, che dà maggiore accento alla figure di fondo del "Polittico di San Gregorio", conferisce al dipinto un effetto monumentale. Le influenze fiamminghe si trovano nuovamente nell'"Annunciazione" e nelle opere attribuibili al periodo successivo all'arrivo a Venezia: la "Crocifissione" di Anversa e la "Pietà", che sullo sfondo, arricchito dalle acque, recano ampie vallate illuminate. I dipinti successivi sono dominati dall'intelaiatura prospettica: è il caso del "San Sebastiano", della "Pala di San Cassiano", della "Crocifissione" di Londra, cui la fusione luce-colore conferisce l'unione inscindibile fra figure e architettura, figure e paesaggio. Datato agli anni 1474-1476, il "San Sebastiano", attualmente a Dresda, è generato in termini di rigore geometrico nello spazio; è realizzato a Venezia, dove il messinese unisce la fusione di luce e colore alla grande sintesi dei volumi. L'esame delle opere veneziane consente di stabilire l'influenza che esse ebbero sulla pittura lagunare, in particolare sull'opera di Giovanni Bellini: per questo è importante studiarne la sequenza. Studiando il passaggio dalla "Crocifissione" di Anversa a quella di Londra, dalla "Pietà" del museo Correr al "San Sebastiano", si nota la rielaborazione dell'esperienza della forma, acquisita da Piero della Francesca, che a Venezia il messinese integra con i modi poetici del Giambellino, in una sorta di fusione fra l'architettura e il colore-luce. In base a queste considerazioni, la "Pala di San Cassiano" appare come conclusione di tutte le ricerche precedenti ma anche come punto di partenza, per l'arte successiva del Bellini e dei suoi seguaci. Sullo stesso Bellini ma anche sul Carpaccio si sarebbero visti anche i riflessi degli influssi di provenienza fiamminga, trasmessi dallo stesso messinese.