RIVOLUZIONE FRANCESE:
Si fa iniziare tradizionalmente nel 1789, con la presa della Bastiglia del 14 luglio, benché i suoi prodromi siano ravvisabili già qualche mese prima. Nell'Europa del Settecento serpeggia un'inquietudine generale, dovuta a problemi sociali, economici e politici, che le riforme paternalistiche dei sovrani assoluti non solo non hanno sedato ma hanno anzi aumentato: il razionalismo illuministico che ispirava i sovrani spesso non aveva tenuto conto delle tradizioni e delle mentalità dei popoli ma aveva spinto a imporre dall'alto le innovazioni. Benché patria della cultura illuministica più radicale e politicizzata, la Francia del "vecchio regime" fu quello degli stati europei in cui minore successo ebbero i tentativi di riforma, anche e soprattutto perché le strutture politiche e amministrative del paese risultavano così arcaiche da costituire una sorta di morsa in cui esso era imprigionato; se dal punto di vista economico il paese risultava ancora solido, esso andava indebolendosi finanziariamente, fino a rischiare la bancarotta, per una cattiva amministrazione e un sistema fiscale di disuguaglianza che opprimeva il Terzo stato e consentiva alla nobiltà di corte sperperi ingiustificati. L'aristocrazia, che pur traeva dalle campagne le sue cospicue rendite, restava chiusa nei suoi privilegi e sorda ai problemi dei contadini; il clero e la nobiltà erano malvisti da borghesi e contadini: questi chiedevano l'abolizione dei diritti signorili (come le decime e le corvée) e i borghesi aspiravano alla liberazione delle terre dai vincoli tradizionali, che ne impedivano il libero scambio e l'alienazione; in quel clima la borghesia imprenditoriale e finanziaria si ritagliava uno spazio che le consentiva di porsi a capo del Terzo stato per costituire uno Stato monarchico-costituzionale, con la rivoluzione del 1789. Nel corso della riunione degli Stati Generali del 5 maggio 1789 la nobiltà tentò di rafforzare le proprie prerogative con una riforma amministrativa e finanziaria e il Terzo stato cercò di ottenere la trasformazione del paese in senso costituzionale, con l'implicazione di una sua diretta partecipazione alla direzione dello stato. Si pose la questione della procedura di voto che, se eseguito per testa, avrebbe dato forza al Terzo stato, i cui membri superavano di poco il numero dei rappresentanti del clero e della nobiltà sommati. Il 17 giugno 1789 il Terzo stato compì il primo atto rivoluzionario, proclamandosi Assemblea Costituente: erano stati infranti i vecchi schemi degli Stati Generali e della divisione della società in tre ordini; nel clima rivoluzionario si verificarono disordini nelle campagne e il popolo parigino, che aveva voluto la presa della Bastiglia, si inseriva nel processo rivoluzionario al fianco delle masse rurali: per le motivazioni della rivoluzione ne derivò una carica popolare e democratica, agli inizi insperata. Ai primi di agosto risale l'abolizione dei diritti feudali, successo della borghesia francese contro i privilegi dell'aristocrazia e soluzione alla violenza che andava scatenandosi nelle campagne. Verso la fine dello stesso mese si ottenne la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, che riveste importanza storica non soltanto per la Francia ma anche per il resto dell'Europa e per il mondo intero: negli anni a venire, infatti, a essa si sarebbero ispirati quanti avessero come obiettivi l'abbattimento dei governi assoluti e quello degli arcaici privilegi dell'aristocrazia. Gli interessi per un esito positivo della rivoluzione furono estesi anche a coloro che possedevano la nuova moneta cartacea, gli assegnati, la cui introduzione rese definitiva la confisca dei beni del clero: la svalutazione di quella moneta sarebbe stata incontrovertibile nel caso di una restaurazione. Anche dal punto di vista religioso si introdusse un'innovazione, nel luglio del 1790, rappresentata dalla Costituzione civile del clero che, nelle intenzioni dei costituenti, non voleva tradursi in un'ingerenza nel potere spirituale della chiesa di Roma, visto che le norme da essa fissate non dovevano sconfinare nel campo dogmatico e spirituale. Quello che era divenuto un processo irreversibile non fu avvertito come tale dalla monarchia né dall'aristocrazia, che lo osteggiarono e lo sabotarono portando dapprima la Francia a una guerra contro i sovrani assoluti d'Europa e infine inducendo un'energica azione popolare che avrebbe posto tragicamente in crisi la monarchia costituzionale. Il sovrano Luigi XVI, infatti, seguendo i desideri della regina Maria Antonietta e degli aristocratici più arretrati, non volle aderire con lealtà allo svolgersi degli eventi: continuò a portare avanti una politica ambigua, seguitando a tenere i rapporti con gli emigrati, nella speranza di poter riconquistare definitivamente il potere assoluto. Dal suo canto, l'Assemblea Costituente non volle assumersi completamente le responsabilità di quanto aveva intrapreso: fuggito il re, non volle accettare la realtà dei fatti e cercò di far circolare la voce per la quale il sovrano era stato vittima di un rapimento; apertamente veniva dichiarato che ciò serviva ad evitare che scoppiasse un conflitto con le altre monarchie d'Europa e che (in un paese di forti tradizioni monarchiche) si giungesse alla guerra civile; in realtà l'inconfessabile intento era quello di non volersi imbarcare in soluzioni che implicassero istituzioni politiche radicali e sconvolgimenti tali da scalfire il predominio economico e finanziario della borghesia. Alla richiesta dei Cordiglieri (la corrente politica che raccoglieva elementi dalle convinzioni democratiche più accese) di porre termine alla monarchia, con la firma di una petizione popolare firmata dai patrioti cittadini, l'Assemblea, approfittando di un momento di disordine, ottenne l'intervento della Guardia nazionale, che sparò sulla folla, provocando la morte di circa cinquanta persone: il cosiddetto massacro di Campo di Marte, del 17 luglio del 1791. Le violenze ordinate dall'Assemblea Costituente le alienarono le simpatie e la fiducia del popolo francese. Il primo ottobre 1791 si riuniva una nuova Assemblea Legislativa, in cui non erano presenti uomini politici che avevano fatto parte della precedente. Tra il 1791 e il 1792 il sovrano dimostrò di non riuscire ad accettare con lealtà il nuovo rapporto con la Legislativa e nell'agosto 1792 questo suo atteggiamento gli costò la corona. La Convenzione (una nuova assemblea) emanò un'altra costituzione repubblicana e mise sotto processo il sovrano, trascinata dagli elementi più radicali, i Montagnardi: alla fine dell'anno il sovrano fu condannato a morte. I sovrani assoluti, a quel punto, si coalizzarono contro la Francia repubblicana, che vedevano come popolo ribelle da punire; vi si aggiunse una rivolta interna di realisti vandeani, intesi a non accettare la nuova situazione. Lo svolgersi degli eventi portò anche i rivoluzionari più moderati, i Girondini, a essere travolti dall'azione popolare condotta dai Montagnardi; il paese finì sotto la guida dell'inflessibile Robespierre, che con i suoi metodi drastici e le sue misure terroristiche diede nuova forza all'azione militare e ottenne la pacificazione interna del paese. Migliorata la situazione militare nell'estate del 1794, gli elementi più moderati della Convenzione decisero di abbattere il governo di Robespierre, intenzionato ad attuare riforme sociali audaci e astratte: iniziò la reazione termidoriana, al cui comando era una borghesia degli affari che riuscì a impossessarsi pienamente del potere, a rafforzare le istituzioni repubblicane e a dare nuovamente corso a una politica moderata e conservatrice. I termidoriani adottarono una nuova Convenzione, quella dell'anno III, con la quale si operava ancora una volta la distinzione fra cittadini attivi e passivi e si ristabiliva il predominio della borghesia che aveva dato inizio alla rivoluzione: la nuova costituzione affidò il potere esecutivo a un Direttorio di cinque membri, che anche in campo legislativo erano investiti di ampi poteri. La Convenzione volle l'annessione del Belgio, che dal punto di vista diplomatico risultò poco popolare, in quanto ostacolò la conclusione della pace con l'Austria, che continuò l'offensiva contro la Francia, insieme all'Inghilterra. La borghesia del Direttorio si occupò prevalentemente di conservare le proprie prerogative, di consolidare il proprio predominio socio-politico; ne risultò una politica oscillante, con la quale si cercò di arginare i tentativi di riesumazione della monarchia come quelli di ripresa da parte giacobina: erano ormai sfumati i grandi ideali della rivoluzione del 1789. In Italia, intanto, i circoli culturali di Milano e Napoli, che erano stati profondamente influenzati dall'Illuminismo, erano preparati ad accogliere le novità della rivoluzione francese. Studiosi lombardi, toscani e piemontesi avevano messo a punto timidi progetti di costituzione (tra il 1789 e il 1791), che furono subito malvisti dai sovrani: è il caso del conte Dalmazzo Francesco Vasco, che fu condannato alla prigione perpetua dal sovrano Vittorio Amedeo III per il suo progetto di carattere decisamente moderato; le conseguenze che si erano avute in Francia allarmarono i governi, il clero e le aristocrazie italiane, che dunque proprio in quegli anni si alleavano per costituire una profonda intesa, tanto importante nelle vicende della penisola dell'Ottocento. Borghesi e intellettuali e, in certi casi, anche le più arretrate popolazioni rurali, manifestarono pubblicamente le loro simpatie e la solidarietà per la causa dei rivoluzionari francesi; già prima del 1789 anche in Italia uomini colti di sentimenti patriottici e giacobini avevano compreso che bisognava tentare la via rivoluzionaria per ottenere un più profondo mutamento politico e sociale, che passasse non soltanto per una generica azione di tipo culturale, morale e costituzionale nel senso più strettamente illuministico ma soprattutto per una presa di coscienza nazionale e democratica; il realismo di tante teorie era stato messo in pratica con i primi fermenti giacobini che avevano attraversato la penisola. Di ispirazione giacobina erano le prime organizzazioni italiane, nate all'interno della massoneria che, pur con i suoi metodi a volte molto discutibili, riuscì a riunire uomini di buona cultura illuministica, miranti a caute riforme che migliorassero la società. Allo scoppio della rivoluzione francese, dunque, i tempi erano maturi perché si costituissero quei club, a imitazione di quelli francesi, che venivano frequentati da borghesi e da qualche rappresentante più modesto del clero. Soprattutto in Piemonte le condizioni di commercianti e professionisti erano di tale arretratezza civile ed economica da favorire questo tipo di associazioni, dettate da un atteggiamento di insofferenza e di rivolta. È il caso di Vercelli, dove operò il professore Giovanni Ranza, in seguito costretto a fuggire in Francia; ed è il caso di Novara, dove la polizia arrestò alcuni professionisti, e di Torino, dove videro la luce diversi club di stampo repubblicano moderato e radicale. Nel periodo in cui la Francia era in guerra con il Piemonte fu organizzata una vasta congiura antimonarchica, di cui la polizia venne a conoscenza nel 1794, ponendo fine al tentativo con arresti e condanne a morte, fra le quali quella dell'ex ufficiale Giovanni De Stefanis, dell'avvocato Francesco Junod e di Giovanni Chantel. Riuscì a mettersi in salvo il futuro storico Carlo Botta, che insieme ad altri fuggì in Francia. Prove concrete da parte dei giacobini italiani ebbero inizio nel territorio di Oneglia, occupata dai francesi nel '94: da parte del governo di Parigi vi era stato inviato Filippo Buonarroti, in qualità di commissario nazionale: democratico radicale, seguace di Robespierre, fu in grado di raccogliere esuli da tutte le regioni d'Italia, con cui propagandò gli ideali repubblicani, amministrò il territorio e diede un nuovo sviluppo all'istruzione scolastica. Si era stimolati, così, a tentare di costituire repubbliche modellate sull'esempio francese ma, oltralpe, Napoleone e il Direttorio avrebbero avversato queste aspirazioni che costituirono, anzi, per i francesi scesi in Italia, momento per attuare quelle ruberie che portarono le masse più arretrate nelle maglie della reazione.